Pierpaolo Curti
Lirica del vuoto
15 GIUGNO 2019 – 8 SETTEMBRE 2019
ATRIO MONUMENTALE ASP – ITIS
L’approccio mediante cui vengono concepiti questi particolarissimi paesaggi sembra essere di tipo fotografico. Chiarendo subito che non è da intendersi come fotografico il soggetto specifico che viene di volta in volta dipinto, (ed esclusivamente dipinto). E’ fotografico piuttosto l’atteggiamento del pittore che si accinge ad inquadrare con precisione quello che si apre dinnanzi ai suoi occhi. Una sorta di scenario estremo rappresentato oggettivamente (per questo si è accennato alla fotografia), nelle sue componenti primarie: rocce, percorsi a precipizio, pochissimi elementi strutturali e architettonici, il vuoto che contorna il tutto. Qualcuno potrebbe essersi spinto fin lassù, oltre la linea della vegetazione, forse addirittura risiedere in quel regno minerale dove non vi sono tracce percepibili di vita. Anche quando nei lavori di Curti degli elementi verticali potrebbero ricordare sottili tronchi di alberi, si tratta comunque di alberi privi di rami o foglie, in qualche modo dei fossili arborei.
In questo paesaggio immobile, fra pareti scoscese e abissi, compaiono delle strutture costruite: quei luoghi non sono del tutto disabitati, quantomeno perché vi sono stati eretti dei muri, si sono costruiti dei passaggi vertiginosi, si sono ancorati, alle pareti e agli orli degli abissi, scalini, soglie, piattaforme ed esili strutture per dispositivi ascensionali. Un paesaggio ritratto con algida esattezza, dove dominano ampie campiture monocromatiche, che restituiscono un’atmosfera rarefatta e, dal punto di vista delle soluzioni formali, ai limiti dell’astrazione.
Non è facile comprendere quale sia il momento dell’arco temporale (alba? pieno giorno? l’imbrunire?), né se sia effettivamente il cielo di questo nostro pianeta quello che fa da sfondo ai dipinti di Curti, un cielo fatto di monocrome variazioni di tono, o dalla netta alternanza di oscurità e chiarore. La luminosità diffusa, qualsiasi sia l’astro che la produce, non genera sfumature; talvolta, osservando il gioco delle ombre proiettate sulle superfici, il loro allungarsi o restringersi, si può immaginare vi sia una rotazione astrale, e dunque una circolarità che scandisce le ore nell’apparente immobilità dello scenario, un succedersi di cambiamenti privi però di stadi intermedi, un po’ come avviene con lo scatto di una ripresa fotografica che raggela per sempre un istante di tempo.E’ un mondo enigmatico quello che si presenta nei dipinti di Curti; enigmatico, ma dai contorni netti, quasi che all’autore prema restituire quell’accuratezza dell’impressione sintetizzabile nella brevità di un verso o nell’immediatezza di una visione che si staglia lasciandosi alle spalle il mondo conosciuto, e la sua ormai flebile eco. Anche i supporti, le strutture che sono serviti ad arrivare fin lassù, andrebbero poi definitivamente abbandonati. Così da affacciarsi, ed abbandonarsi, ad un senso dello spazio la cui esperienza può essere ritrovata nelle parole di un mistico, quale è stato, ad esempio, il domenicano Heinrich Seuse: “In queste inconcepibili montagne del sovradivino dove, vi è un abissalità percepibile da ogni spirito puro. E qui giunge l’anima nella celata innominabilità e nello stupefacente straniamento”.
Riccardo Caldura
Pierpaolo Curti (Lodi, 1972) si esprime non solo con la pittura e il disegno, ma anche con il video e l’installazione. Molte le esposizioni in Italia che all’estero, fra le quali le personali alla Fondazione Mudima di Milano (2012), al Palazzo Collicola Arti Visive di Spoleto (2016), alla Galleria Michela Rizzo di Venezia (2018). E le collettive: My way-A modo mio”, MAMbo (2017); “Saleterrarum”, Villa Litta di Lainate,( Expo 2015 Milano); “The bearable lightness of being- the metaphor of the space 2″, Biennale d’architettura, (Venezia 2010).